Post Rogers. Un futuro per la psicologia umanistica
Nell’era digitale la psicoterapia umanistica sembra essersi ormai smarrita; quello straordinario movimento clinico che intorno agli anni sessanta sotto la spinta di personalità quali Carl Rogers, Rollo May, Abraham Maslow, Fritz Pearls ecc aveva sancito l’esistenza di quella “terza via”, alternativa alla psicoanalisi e al comportamentismo, che aveva fornito chiavi di lettura e soprattutto prassi cliniche dimostratesi rivoluzionarie e di grande impatto benefico per almeno un trentennio, sembra essere ormai un modello superato, desueto. Forse l’eccesso di fiducia nell’essere umano, proclamato soprattutto da Rogers, che tendeva a liberare l’uomo per l’espressione di tutte le sue enormi potenzialità, ha in realtà trascurato il valore dei limiti e dei confini, indispensabili per convogliare in modo armonico lo sviluppo stesso.
Oggi ci troviamo con un panorama psicopatologico ove le strutture di personalità rigide (per le quali l’approccio umanistico risultava profondamente rispondente) hanno lasciato campo a strutture di personalità “fluide”, “liquide”, in continuo cambiamento, borderline e istrioniche; i caratteri passivo aggressivi e narcisistici imperversano nelle forme lamentose, depressive, dipendenti. E l’approccio umanistico rischia di perdersi con i pazienti, che a differenza di quelli con cui lavorava Rogers, non hanno mete e percorsi rigidamente definiti, ma sono senza orientamento, senza argini, e quindi incapaci di scegliere un percorso.
Questo vuol dire che la psicologia umanistica ha terminato il suo corso? Di fatto oggi sono i modelli comportamentisti, cognitivisti, sistemici quelli che sembrano catturare i maggiori successi. Il loro affidamento a procedure cliniche, a tecniche precise e preimpostate, offrono una sicurezza al clinico e al paziente che si contrappone allo smarrimento di cui abbiamo detto sopra. E di fatto molti terapeuti di approccio umanistico hanno esplorato, aderito, sperimentato queste tecnologie, sia come dovere professionale di aggiornamento, che sotto la spinta di una crisi identitaria conclamata.
Se quindi la direzione di aggiornamento e cambiamento della prassi clinica sembra ormai inesorabilmente tracciata, ecco però che rileviamo due eventi: il primo è che molti terapeuti di approccio centrato sulla persona, dopo il primo innamoramento per tecniche che sembrano davvero efficaci, ne rilevano molti limiti; in particolare ancora oggi sembra tremendamente vera l’osservazione che Rogers pose in “La terapia centrata sul cliente” che l’efficacia di una tecnica non sta nella tecnica ma nella sua puntualità rispetto al qui e ora della terapia; quindi la scelta di applicare una tecnica non è dettata da una sequenza procedurale, ma è un atto empatico, per certi versi artistico, creativo, intuitivo del terapeuta che coglie un’adeguatezza di quella proposta in quel particolare frangente della terapia.
Il secondo e ancora più decisivo evento è che sempre più frequentemente si rileva la collusione delle tecnologie cognitivo comportamentali, performative di natura, con un’epoca ove la performance esasperata è la causa di quell’essere “fuori tempo”, di quell’essere esageratamente accelerati, di quell’essere in perenne ritardo, riferito da tanti pazienti. Panico, depressione, ansia, perdita di confini di memoria affettiva, attaccamenti morbosi a sostanze, attività e persone sono la conseguenza di un tempo umano che è discronico rispetto al tempo della natura; la vita diventa una vita innaturale. È questa l’inautenticità odierna. E le tecnologie cognitivo comportamentali, unitamente ai rimedi farmacologici, non sono altro che tentativi di mantenere gli individui dentro tempi che vanno contro natura, rendendoli sì più performanti, resilienti e quant’altro; ma anche mantenendoli in una sorta di schiavitù che tende a soffocare quelle istanze della tanto cara “tendenza attualizzante”, di una dimensione organismica che richiederebbe invece rallentamenti, spazi, scelte, diversi ordini di priorità!
Se notiamo quindi una inautenticità, una nuova incongruenza (non più solo interna all’individuo, ma tra gli individui e la natura) allora vale la pena di tornare a ragionare con gli occhi della psicologia umanistica. Superando altresì i limiti della prima e vasta applicazione, rifondando un approccio in modo più robusto. Dove attingere per rifondare la psicologia umanistica? 15 anni fa avviammo un progetto, quello di Apeiron, sull’onda proprio di un’intuizione: della necessità che già si sentiva di rifondare la psicoterapia umanistica. E 15 anni fa scegliemmo una strada che oggi più che mai ci sentiamo di proporre: attingere alla fenomenologia e all’esistenzialismo, a uno sguardo psicologico e filosofico che accoglie i punti di vista di tante discipline, che amplia spazi e tempi, che amplia gli orizzonti.
Questo seminario vuole introdurre alla fenomenologia e al pensiero esistenzialista ripercorrendo i suoi fondamenti storico e teoretici; constatandone l’impatto sul modo di intendere la relazione di aiuto (la fenomenologia come metodo di conoscenza e di cura) e introducendo nel processo di empatia quello sguardo che è sensibile alle categorie dell’umana esistenza (corpo, spazio e tempo soggettivi) e al concetto di “modo di essere al mondo”.
Nel corso della giornata seminariale si farà costante riferimento alla prassi clinica, alle attuali problematiche psicopatologiche, cercando di illustrare così l’applicabilità concreta di concetti teorici complessi e soprattutto i nuovi orizzonti che tali concetti permettono di dare ai capisaldi della terapia centrata sul cliente: la fiducia nella tendenza attualizzante, la valutazione organismica, l’empatia, la congruenza e l’autenticità, l’accettazione incondizionata.
Programma
9,00: introduzione del seminario; le nostre domande all’Approccio Centrato sulla Persona
9,45: le 15 domande senza risposta di Carl Rogers (1979)
Ore 10,45: break
Ore 11,00: lo sguardo fenomenologico in psicoterapia e i suoi fondamenti teoretici
Ore 12,00: l’analitica esistenziale: esserci, essere con, le categorie fenomenologiche esistenziali (corpo, spazio, tempo, mondo, relazione), la definizione di psicopatologia in fenomenologia
ore 13,00: pausa pranzo
Ore 14,00: l’analisi del tempo vissuto per la comprensione delle psicopatologie odierne
ore 15,00: una nuova prassi psicoterapeutica centrata sulla persona? Nuove funzioni per gli psicoterapeuti centrati sul cliente?
Ore 15,30: break
Ore 15,45: gruppo di discussione clinica a partire dai casi
Ore 16,45: condivisione finale
Ore 17,00: chiusura
Numero massimo di partecipanti: 14
Formatore: dott. Gian Luca Greggio, psicologo-psicoterapeuta
Dove e quando: Sabato 19 gennaio 2019, via Bagaro 27, Ferrara
Costo del seminario:
Per i soci di Apeiron: 80 euro ESENTE IVA (la quota associativa è di 35,00 euro e dà diritto a sconti su tutte le iniziative editoriali e formative del 2019).
Per i non soci: 90 euro+ IVA
Per info e iscrizioni: eleonoracavicchi@gmail.com
dott.ssa Eleonora Cavicchi
La scheda di iscrizione dovrà essere inviata entro il 21 dicembre 2018.
Il seminario Post Rogers si svolgerà anche il 12 gennaio 2019 presso la sede di Gallarate